L’intelligenza artificiale è un argomento sempre più attuale grazie a suoi numerosi utilizzi nella vita di tutti i giorni.
È bene, tuttavia, conoscere quanto meno poche ed essenziali nozioni per poter comprenderne le potenzialità e, soprattutto, i rischi che ne conseguono dall’utilizzo.
Senza impiegare eccessivi tecnicismi, l’intelligenza artificiale (forte) può essere definita come la capacità di una macchina (computer) di replicare – in parte – l’attività intellettiva dell’uomo di relazionarsi con il mondo circostante e di prendere decisioni sulla scorta di nozioni possedute ed esperienze vissute.
Nel solco di questa “definizione” si ben comprende come l’implementazione di questo tipo di intelligenza non ha, sostanzialmente, confini – se non quelli prettamente legati allo stato dell’arte e delle conoscenze tecnico- informatiche.
Il primo a teorizzare e a “definire” l’intelligenza artificiale – nonché il padre dell’informatica – è stato Alan Turing il quale, nel 1950, ha pubblicato sulla rivista Mind, un articolo intitolato Computing machinery and intelligence, dove veniva per la prima volta reso noto al pubblico il famoso test di Touring – che ha lo scopo di determinare se una macchina sia o meno dotata di intelligenza artificiale.
La versione più semplice del Test di Touring consisteva in una rivisitazione del noto Imitation Game, dove, invece di avere un uomo (A) ed una donna (B) dei quali il soggetto (C) doveva indovinarne il sesso con una serie di domande senza sapere che l’uomo (A) avrebbe falsificato le sue risposte per sembrare una donna, vi era un computer (A) ed un uomo (B), e quindi il computer doveva ingannare il soggetto (C) fornendo risposte tali da farlo sembrare un uomo.
In caso di successo, il computer (A) poteva dirsi dotato di intelligenza artificiale.
Partendo proprio dalla rivisitazione dell’Imitation Game si è giunti a teorizzare ed a implementare i c.d. ChatBot – in sostanza intelligenze artificiali che si sostituiscono all’uomo in una qualsiasi conversazione via chat e che sono in grado di interloquire con un utente della rete senza che questi si accorga di scambiare informazioni con un computer invece che con un essere umano.
Come spesso accade, tuttavia, l’utilizzo di questi ChatBot – nato per svolgere mansioni di assistenza alla clientela et similia, non è sempre lecito, anzi.
Non è inusuale, purtroppo, che i ChatBot vengano infatti utilizzati da soggetti malintenzionati per compiere una vasta pletora di reati che possono andare dalle “semplici” truffe online, ai più gravi delitti di adescamento di minorenni di cui all’art. 609 undecies c.p. e di pornografia minorile di cui all’art. 600-ter c.p.. Il motivo del ricorso a questa intelligenza artificiale è presto detto, la capacità della stessa di attaccare più vittime contemporaneamente e la possibilità di svolgere tale attività senza interruzione alcuna.
Non vi è dubbio che, nel caso di specie, stante il chiaro dolo sussistente in capo all’agente fisico che ha predisposto i ChatBot, questi ultimi saranno considerati quali meri strumenti utilizzati dall’autore delle condotte penalmente rilevanti – senza che rilevino le caratteristiche di machine learning e deep learning su cui si basa il ChatBot medesimo.
Fortunatamente, soprattutto in tema di reati a danni di minori, i ChatBot sono stati utilizzati con successo – spesso quali agenti provocatori – per individuare i criminali ed impedire a questi di proseguire con le loro attività illecite.
Un esempio lampante è quello di Sweetie, ChatBot sviluppata per conto di Terre des Hommes in grado di intrattenere conversazioni con possibili predatori sessuali in cerca di vittime minorenni.
Grazie a questa intelligenza artificiale, si è in grado di simulare la presenza di un soggetto minorenne – ad esempio attraverso l’uso di grammatica scorretta, inglese zoppicante ecc – idoneo a suscitare l’interesse dell’agente che si reca su siti, anzi, su chat con lo scopo di adescare minori al fine di ottenere materiale pedopornografico o indurli a compiere atti sessuali veri e propri.
Le due facce dell’utilizzo del ChatBot possono facilmente rendere l’idea di come la tecnologia, internet, l’informatica e – ancor di più – l’intelligenza artificiale, possano essere utilizzati per i fini più nobili e leciti, tanto quanto per i fini più deplorevoli ed abietti.
L’auspicio è che l’utilizzo benevolo dell’A.I. prevalga su quello malevolo e maligno e che, anzi, possa essere utilizzato per combattere attivamente i cybercrime basati sulla stessa tecnologia, come accade con Sweetie.