Il contesto
Il diritto all’oblio è nato e si è sviluppato in un contesto di grande cambiamento sia dei mezzi di comunicazione sia delle esigenze a questi connesse, con l’intento di fornire una tutela all’identità personale contro i possibili pregiudizi nascenti dalla realtà virtuale in cui oggi ci si trova immersi. Nel concreto, tuttavia, si è rivelato non in grado di fornire un’effettiva tutela ai soggetti lesi da informazioni presenti online passibili di cancellazione grazie all’esercizio di tale diritto. E’ stato infatti sostenuto che il diritto all’oblio fosse, in fin dei conti, un diritto vuoto, un’illusione, poiché in grado di offrire una tutela limitata, relegata alle sole pagine dei motori di ricerca e non all’intera rete e quindi, in un certo senso, in grado di fornire solo una tutela fittizia.
Le criticità
Vari sono gli aspetti sottesi all’accusa di inefficacia rivolta al diritto previsto dall’art. 17 GDPR, tra i principali: a) le informazioni oggetto di de-indicizzazione restano comunque presenti in rete negli archivi delle fonti originali, riguardando la cancellazione la mera rimozione dall’indice del motore di ricerca; b) la rimozione avviene solo sui risultati forniti dal motore di ricerca a seguito di una domanda specifica, contenente necessariamente il nome dell’interessato, essendo così sufficiente inserire una formulazione diversa della domanda per arrivare al link precedentemente oggetto di de-indicizzazione; c) nonostante Google cancelli i link non più pertinenti non solo dalle pagine web delle varie versioni europee (.it, .fr,. etc.), ma anche dal dominio .com, i link nei domini extra-ue rimanevano accessibili da tutti gli altri paesi dell’Unione Europea, così come continuavano a non essere toccati i risultati delle ricerche per chi si collegava da territorio extracomunitario.
Tale ultimo aspetto è stato, tuttavia, oggetto dell’ordinanza n. 34658 emessa in data 24 novembre 2022 dalla I sez. civ. della Corte di Cassazione, con cui la Corte ha accolto il ricorso presentato dal Garante della Privacy contro Google Llc, Google Italy S.r.l., e grazie alla quale è ora possibile rendere effettivo l’esercizio del diritto all’oblio ordinando la cancellazione dei dati anche verso Paesi extra-ue, tramite l’intervento dell’Autorità Garante della protezione dei dati privacy e dei giudici, i quali potranno così ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una de-indicizzazione dei contenuti a livello globale.
Il caso
Il caso ha avuto origine dalla richiesta del ricorrente al Garante Privacy di ordinare a Google la rimozione – anche dalle versioni extra-europee del motore di ricerca – di alcuni contenuti inerenti ad una vicenda giudiziaria in cui lo stesso ricorrente era stato coinvolto, conclusasi con decreto di archiviazione da parte del GIP per infondatezza della notizia di reato.
Il ricorrente era residente a Dubai e, in quanto titolare di interessi professionali al di fuori dell’Europa, veniva pertanto pregiudicato dalla presenza online delle predette informazioni non più sorrette dal diritto di cronaca e da alcun interesse pubblico.
Il Garante aveva così ordinato a Google di rimuovere, entro 20 giorni, gli URL oggetto di richiesta anche dalle versioni extra-europee del motore di ricerca ma quest’ultimo aveva tuttavia chiesto di dichiararsi il difetto di legittimazione passiva unitamente all’annullamento del provvedimento per vizi procedurali, contestando l’estensione globale dell’ordine di rimozione.
In conclusione
La decisione della Corte di Cassazione, I Sez. Civ., costituisce un passo in avanti verso il riconoscimento di un’effettiva tutela connessa all’esercizio del diritto all’oblio, prevedendo un’estensione globale della rimozione delle notizie lesive dei diritti dei titolari che verranno, d’ora in poi, de-indicizzate da Google in ogni paese europeo ed extra- europeo.