Il 10 febbraio scorso è stato emesso dal Tribunale di Roma il terzo provvedimento in Italia in tema di eredità digitale.
L’ordinanza cautelare del Tribunale di Roma, come quella emessa dal Tribunale di Bologna e dal Tribunale di Milano, ha nuovamente riconosciuto la dignità di cespiti ereditari oggetto di successione ai dati personali del defunto e applicato la relativa disciplina di cui all’art. 2 terdecies del Codice Privacy (in combinato disposto con il Regolamento 679/2016).
Ma non solo. Il Giudice di Roma ha accertato che il contratto predisposto unilateralmente da Apple non può ostacolare il diritto degli eredi ad accedere ai dati del defunto, come già aveva avuto modo di accertate la Corte di Cassazione tedesca (BGH, 12 luglio 2018, n. 183/17).
Invero, le clausole di rinunzia che avvantaggiano unilateralmente una delle parti a sfavore dell’altra (come la clausola di intrasmissibilità del contratto, quelle di cancellazione dei dati, quella della legge applicabile o della giurisdizione competente), devono essere considerate nulle, quando:
· sono frutto di un’illegittima asimmetria contrattuale, come nel caso della contrattazione in rete dove non vi è (salvo prova contraria) una contrattazione espressa sul loro contenuto;
· non prevedano un’equa distribuzione dei diritti tra le parti.
Altrimenti, il diritto di accesso all’account da parte degli eredi sarebbe precluso e, nel contempo, il principio di universalità della successione sarebbe neutralizzato.
In ogni caso, clausole di tal natura, ancorché idonee ad impedire la successione nell’account, non potrebbero comunque mai impedire la trasmissione di diritti già cristallizzati nel patrimonio del de cuius (quali, tra gli altri, il diritto di accesso ai dati personali), in quanto contrarie a norme e principi inderogabili sia in materia di tutela del consumatore sia in materia di successioni.