In un mondo sempre più attento alle tematiche ecologiche è necessario riflettere non solo sul costo ambientale del nostro stile di vita, ma anche sull’impatto che i nostri risparmi le nostre eredità per le generazioni future hanno sull’ambiente. Di conseguenza, valutare l’impatto ambientale di oro e criptovalute può essere utile nell’orientare la scelta delle nostre riserve di valore.
Nel momento economico attuale, è l’oro a rappresentare la principale riserva di valore. Preziosi, monete e lingotti sono normalmente utilizzati come bene rifugio per mettere al riparo la propria ricchezza da oscillazioni del valore monetario. Per apprezzare l’entità di tale fenomeno rispetto al totale occorre ricordare che, nonostante il metallo nobile sia ampiamente utilizzato anche in ambito tecnologico, le richieste per uso industriale non superano in realtà l’8%, riservando all’ambito economico oltre il 90% della domanda di oro mondiale.
La quantità di oro davvero necessaria alla nostra società, tra l’altro, sarebbe tranquillamente soddisfatta per i prossimi decenni semplicemente attraverso il riciclaggio di quanto già in circolazione. A sostenerlo è l’Università di Oxford, in un recente studio nato proprio dalle intenzioni manifestate dai maggiori di produttori di elettronica di consumo, ad esempio Apple, che sostiene di poter diventare totalmente indipendente dall’estrazione aurifera già nel 2030.
L’alternativa digitale per la riserva di valore
Con la diffusione delle criptovalute, in particolare i bitcoin, molti si chiedono se la scarsità dell’oro, che ne garantisce fondamentalmente il valore, possa essere sostituita dalla scarsità digitale introdotta da quest’ultime, che lo soppianterebbero dunque come riserva di valore. Se dal punto di vista economico la questione è dibattuta e ancora incerta, molti si pongono importanti interrogativi dal punto di vista dell’impatto ambientale: sarebbe ecosostenibile utilizzare le criptovalute invece dell’oro come riserva di valore?
Le maggiori eco-critiche al mondo delle criptovalute sono rivolte a quelle che si avvalgono della cosiddetta proof-of-work, come bitcoin, proprio il maggior candidato, al momento, ad assurgere al ruolo di riserva di valore affidabile.
Il meccanismo di proof-of-work consiste nella risoluzione di complicate equazioni crittografiche per creare nuova criptovaluta o per verificare le transazioni sulla blockchain. Il consumo energetico dei sistemi deputati all’applicazione di tale metodo è molto elevato, e costituisce indirettamente, tra l’altro, uno dei parametri alla base della sicurezza di questo tipo di blockchain: per prenderne il controllo, infatti, sarebbe tecnicamente necessario possedere più del 50% della potenza computazionale coinvolta sulla blockchain stessa, eventualità non solo difficilmente realizzabile dal punto di vista tecnico, ma anche antieconomica per un eventuale attaccante.
La sostenibilità ambientale delle criptovalute: luci e ombre
Secondo recenti studi, si stima che poco meno del 40% dell’energia utilizzata dalle attività di mining provenga da fonti rinnovabili, fatto che giustifica, almeno parzialmente, le critiche ambientaliste. L’equazione infatti, che fin qui sembrerebbe scontata, manca di un parametro fortemente significativo, quale è la relazione tra il valore transato e l’energia consumata, dato che secondo precise ricerche ribalta invece completamente la situazione a favore delle criptovalute, ben più efficienti rispetto al sistema di banking tradizionale.
Naturalmente una fonte di energia più costosa renderà meno profittevole l’operazione di mining, ma un vantaggio delle criptovalute è che il nodo di una blockchain funziona con energia elettrica a prescindere del modo in cui questa è prodotta. Che provenga da un pannello solare o da una pala eolica anzichè da una centrale a carbone, una volta che il costo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili pareggerà quello dell’energia prodotta da fonti fossili anche i processi di proof-of-work saranno a impatto ambientale pressochè pari a zero.
Esiste tuttavia una sostanziale differenza tra il mining di criptovalute e l’estrazione dell’oro. L’impatto della prima dipende infatti quasi direttamente dalla fonte di energia utilizzata del processo, senza che il risultato delle operazioni sia in alcun modo alterato da tale scelta. L’impatto della seconda è invece legato a criticità completamente differenti.
Le criticità ambientali del settore aurifero
L’estrazione dell’oro non ha alternative completamente green. Pur valendo gli stessi principi di bilancio energetico nella produzione e sfruttamento dell’energia per i procedimenti industriali coinvolti, i processi chimici utilizzati prevedono in ogni caso un impatto ambientale severo, non solo a causa dell’inquinamento da mercurio prodotto nelle acque di lavorazione ma anche a causa dell’emissione di gas serra derivanti dal processo di estrazione.
Dunque, a meno di improbabili stravolgimenti nel campo della chimica, l’oro si estrae, necessariamente, causando gravi danni all’ambiente; il quadro descritto si aggrava considerando anche l’incessante opera di deforestazione causata dall’apertura di nuove miniere, che arreca danni irreparabili agli ecosistemi coinvolti, come quello dell’amazzonia.
I dati a nostra disposizione, tra l’altro, sono palesemente incompleti: esistono infatti numerose attività estrattive operate non da entità statali o industriali ma da organizzazioni paramilitari o criminali, che difficilmente rispetteranno qualsivoglia vincolo ambientale durante le proprie operazioni. Da un recente studio del WWF emerge che il 70% dell’oro estratto nel mondo, pur essendo raffinato in Svizzera, non abbia una provenienza certa, introducendo tra l’altro più di un sospetto anche sulla forza lavoro utilizzata per l’estrazione.
Un futuro green è possibile
Valutando l’impatto ambientale di oro e criptovalute, è dunque auspicabile uno scenario futuro nel quale le criptovalute basate su proof-of-work utilizzino energie al 100% rinnovabili, sostituendo l’oro quale riserva di valore e relegandolo al ruolo di semplice lega metallica per utilizzo industriale derivabile dal riciclaggio, minimizzandone nuove estrazioni.
Ciò sarebbe, probabilmente, anche un vantaggio dal punto di vista organizzativo, ritenendo assai più agevole la conservazione di una chiave crittografica privata rispetto all’oro fisico, nonchè la trasmissione di una transazione certificata dalla blockchain assai più sicura rispetto allo spostamento di un lingotto d’oro, potenzialmente contraffatto.
Il concetto di dematerializzazione ed efficientamento dei processi emerge dunque come criterio ESG fondamentale nella misurazione della sostenibilità di un investimento o di un’attività. NetworkLex vanta una lunga esperienza nella gestione dei dati, nella dematerializzazione documentale e nell’utilizzo delle nuove tecnologie applicate alla gestione dell’azienda. Richiedi il nostro Green Tech Legal Assessment per scoprire quanto la tua attività è green e come puoi diminuirne l’impatto ambientale, massimizzando nel frattempo l’efficienza dei processi aziendali.