La Corte di Cassazione, sez. V penale, con la sentenza 2905/2019, ribadisce che l’accesso abusivo al profilo social del proprio partner ha rilevanza penale, nonostante le credenziali siano state comunicate spontaneamente dal titolare.
Il reato è quello prescritto dall’art. 615 ter c.p. che, al 1 comma, recita: “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.”
Il caso: accesso abusivo al profilo social del partner
Il caso è nato dalla condotta di un marito che, dopo essere entrato nell’account Facebook della moglie mediante dispositivo mobile, fotografava le conversazioni da quest’ultima intrattenute con un altro uomo e cambiava la password al fine di inibirle ogni accesso successivo. La chat veniva successivamente riprodotta nel giudizio di separazione instaurato dal marito nei confronti della moglie.
Seguiva così un giudizio penale volto all’accertamento della rilevanza penale della condotta dell’uomo.
A nulla valse la circostanza che il marito fosse a conoscenza delle chiavi di accesso della moglie, quand’anche fosse stata quest’ultima a renderle note e a fornire, così, in passato, un’implicita autorizzazione all’accesso.
Il carattere abusivo degli accessi non è infatti escluso dall’aspetto di cui sopra, poiché mediante questi si è ottenuto un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa, oltre che esorbitante rispetto a qualsiasi possibile ambito autorizzatorio: la conoscenza di conversazioni riservate, l’estromissione dall’account Facebook della titolare del profilo.
Le pronunce
Il Tribunale di Palermo prima, e la Corte d’appello poi, hanno condannato il comportamento del marito ai sensi dell’art. 615 ter c.p.
La sentenza della Corte è stata impugnata davanti alla Suprema Corte di Cassazione deducendo il difetto di motivazione del provvedimento impugnato atteso che dai riscontri dell’istruttoria non era stato individuato l’indirizzo IP da cui era stato effettuato il collegamento sul profilo del coniuge.
In conclusione
La Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendo il motivo inammissibile. La doglianza era infatti relativa ad un giudizio di fatto non sindacabile in Cassazione se non sotto l’aspetto della violazione di legge, ivi non presente.